SQLShades: The Glow of Dark Theme for SSMS

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Introduction

Hey folks, are you ready to add a touch of darkness to your SQL Server Management Studio (SSMS)? Well, I’ve got some exciting news to share with you!

SSMS, so dark

The Extension You’ve Been Waiting For

As of today, thanks to the work of Michael Van Devender, we finally have a free extension that brings the much-awaited dark theme to SSMS. Yes, you read that right – now we can work in the shadows! The extension is called SQL Shades. Just install it and “it’ll darken everything automatically, including what SSMS’ hidden dark mode misses” as Michael said.

Why you should try it?

Why not?

Well, a dark theme isn’t just a matter of style (although I must say it makes your code look even cooler), but it also has some technical advantages. It reduces eye strain, especially if you spend long hours in front of the screen, and it can even help save energy on your machine if you have an OLED monitor.

I know, I know, SSMS has a dark theme, but only the VS Shell components are actually themed! All the other unique controls in SSMS, like the object explorer, the grids, the panels, unfortunately, aren’t.

Additionally, there is a great roadmap for the future with an open source approach to vote for new features.

How to get started

Trying out this extension is a piece of cake. Simply head over to the official website and click on the Download button. After a quick setup, you’re ready to dive into the darkness!

Supported versions

SQL Shades is available for SSMS 18 and 19

You will love SQL Shades

If you really like it, why not consider making a small donation to the author to show your appreciation?

Conclusions

Wrapping things up, if you’re tired of squinting at the bright lights of SSMS, give SQLShades a try. It’s features are ok already, but many others are going to be released in the next months. Be honest, isn’t this an add-in you were waiting for? A big thanks to Michael, because the time to embrace the shadows has come 😉

Gestire l’on boarding con le wiki di Azure DevOps

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Mai come negli ultimi tempi, ho iniziato a fare analisi riguardanti l’on boarding dei nuovi assunti in azienda. Per noi la parte di ricerca del personale e il conseguente percorso iniziale con il team sono argomenti di massimo interesse. Del resto, il futuro è basato per la maggior parte su come ci si muove fin dai primi istanti.

Devo essere sincero, fin dalla sua nascita, l’azienda è stata fatta sempre e solo di tecnici e, in quanto tali, abbiamo sempre dato molto peso all’approfondimento delle tecnologie e delle pratiche legate al mondo dello sviluppo.

Poi qualcosa è cambiato. Abbiamo iniziato a ragionare in termini davvero people-first, anche per necessità di crescita. Già dopo un paio di anni abbiamo iniziato ad assumere al di fuori di quel contesto costruito praticamente su amicizia e conoscenze comuni. Di recente, poi, è arrivata una crescita del personale del doppio delle unità e da qui la necessità di affrontarelne la selezione ancora più in maniera oculata e precisa.

In ogni punto del ciclo di vita aziendale abbiamo qualcosa definito in wiki.
[…] oggi le wiki sono piuttosto complete anche se, probabilmente per un tempo limitato

Insomma, l’on boarding diventa un momento in cui investire, non solo per chi deve crescere in quell’istante, ma anche per chi deve preparare materiale per il futuro e per chi arriverà. Per noi, il “dove” in cui mettere il sapere è la wiki di Azure DevOps. Una delle nostre principali alleate, tutti i giorni.

Come utilizziamo la wiki

In ogni punto del ciclo di vita aziendale abbiamo qualcosa definito in wiki. L’on boarding é il primo capitolo di uno strumento che accompagnerà i membri dei nostri team ogni giorno. L’elenco delle cose da avere, il nostro welcome kit, è anch’esso su di una pagina wiki che illustra a chi è stato assunto gli strumenti e gli accessi disponibili. Da lì, un “get started” fornisce gli step per creare la propria workstation e avviare la nostra piattaforma, come gira effettivamente in produzione, solo più effimera.

Di certo, ora è semplice a dirsi, l’implementazione degli strumenti descritti, come gli script di automazione del provisioning della sandbox o del database su container, ha richiesto anni di osservazioni e miglioramento continuo. Per cui solo oggi le wiki sono piuttosto complete anche se, probabilmente per un tempo limitato. Tuttavia, quando si entra nel mood del “continuous” è tutto all’ordine del giorno.

Per usufruire di questo vantaggio però, è necessario avere nel DNA aziendale concetti di cambiamento e miglioramento continui

La documentazione dei processi

Documentare un processo aziendale tramite una wiki può essere visto come un costo, soprattutto quando l’azienda cambia non poco spesso. Ma la wiki in sé non può definirsi tale, anche perché si trasforma subito in un ritorno dell’investimento non appena consumata dalle persone che lavorano in azienda. Per usufruire di questo vantaggio però, è necessario avere nel DNA aziendale concetti di cambiamento e miglioramento continui. Se si prevede nelle proprie pipeline di sviluppo una parte di wiki (attenzione, documentazione non di progetto semplicemente, ma di processo e di tutto quanto è il sapere dell’azienda) esso poi, col tempo, entra nel DNA di tutti e anche chi diventa il tutore di chi inizia il percorso con noi passa il modus operandi ai propri adepti, rendendo, di fatto, il procedimento inarrestabile. Uno di quelli di cui non si può più fare a meno.

Un modus operandi alla portata di tutte le realtà

Credo che questa abitudine sia assolutamente alla portata di tutti ma, allo stesso tempo, applicabile dipendentemente da vari fattori.

Partire daccapo ed ereditare situazioni

Per chi ha la fortuna di iniziare qualcosa daccapo, come un progetto o una migrazione culturale, direi che basta iniziare col piede giusto. Chi eredita, invece, situazioni Legacy, non orientate ad un approccio iterativo come vale per DevOps o Agile, potrebbe avere non pochi problemi. Perché comunque si parla di mindset.

Per ottenere risultati da un procedimento di questo tipo è necessario prima abbracciare la cultura del cambiamento e del miglioramento continuo. Se non si è pronti a ciò, il rischio è quello di avere una bella wiki all’inizio, derivante da un progetto dedicato alla sua creazione, e poi trovarsi a definirla obsoleta in poco tempo. Qualcosa di cui fare manutenzione che fa solo perdere tempo e, di conseguenza, che fa perdere fiducia nello strumento, nel suo utilizzo e nella metodologia.

Innestare tutto quanto nel processo di selezione del personale

Avendo una wiki per come fare le interviste e i colloqui, sia per la parte attitudinale sia per la parte tecnica, risulta tutto molto naturale. Gli stati della pratica di assunzione sono su di una board di Azure DevOps, in cui viene seguito il procedimento completo, dalla ricerca, ai colloqui, all’assunzione, alle licenze e fino alla burocrazia. A supporto di questo, gli step indicati sulla wiki alla sezione “hiring”, dedicata ovviamente all parte di assunzione. Come è facile capire, gli strumenti sono a supporto di una radicata cultura orientata all’organizzazione, nell’ottica di ridurre gli sprechi e le perdite di tempo, portando, di fatto, valore aggiunto tramite ogni cosa che si fa. O almeno ci si prova.

Crescita professionale e futuro della persona

Anche per questo abbiamo, guarda caso, wiki che descrivono come la persona verrà accompagnata e come pian piano, o meglio, nei tempi che il “tutore” decide essere consoni, crescerà. Proprio adesso stiamo lavorando ad una sezione in cui si gestisce parte del mantenimento del rapporto, la crescita professionale in generale e le posizioni aperte in azienda, tramite un organigramma che mostra cosa manca e cosa abbiamo. Personalmente, tengo allineate wiki private su progetti dedicati nelle quali vi sono i punti salienti dei nostri one-to-one trimestrali. Come viene fatto un incontro one-to-one è ovviamente descritto in wiki, tanto per cambiare.

Conclusioni e suggerimenti

Come per ogni cosa che metta in relazione uno strumento con un modo di procedere più culturale, è fondamentale che si parta dalla cultura, appunto, e che lo strumento sia un efficace supporto. Consiglio di cercare strumenti per fare wiki che siano vestiti sui vostri processi, in modo da evitare inutili sprechi di tempo. Considerate che ci sono voluti anni nella nostra realtà, che praticamente è nata su pilastri DevOps e Agili.
Inoltre, la wiki non deve essere un trattato approfondito di tutto lo scibile aziendale. Preferite la formula “bullet point”, quindi liste, piuttosto che scrivere paragrafi infiniti. E preferite che tutti possano proattivamente metterci le mani, in fondo è l’approccio giusto.
Legato anche al punto precedente, una wiki non dovrebbe essere una perdita di tempo. Se passate più tempo a gestirla significa che qualcosa non è corretto. Più cose non salienti scriverete, più cose potenzialmente cambieranno e quindi dovranno essere verificate e modificate. Va dosato il rapporto costi/benefici.
Infine, una volta entrati nel mood, valutare anche di usare non solo le wiki per documentare processi, ma anche quelle di codice, per sfruttare i repository al meglio, come vale per i repo GitHub. Con Azure DevOps questo è praticamente naturale.

Insomma, le wiki possono essere viste come un potentissimo strumento a supporto dell’organizzazione aziendale, anche per dare un’immagine della propria realtà in totale trasparenza e in accordo con il lavoro di tutti i membri dei team e dei dipartimenti. Una vera alleata.

La salita, da un altro punto di vista

Di Ilaria Ottonello.

Oggi sto mettendo in pratica quanto fatto durante il mio primo pellegrinaggio a metà
settembre per tirare le somme di questo ultimo anno. Durante la prima tappa ho sempre e solo guardato avanti: non volevo perdere l’obiettivo quindi avevo gli occhi puntati dritti davanti a me, sempre verso la curva o la strada che dovevo raggiungere.

Il viaggio

Durante la seconda, e la terza, ho incontrato i primi saliscendi e dal momento che non
mi posso definire una persona atletica al termine di una salita mi prendevo trenta
secondi a riprendere fiato. Arrivata ai piedi della successiva me ne prendevo altri
trenta per sbuffare un pochino prima di affrontarla e guardavo verso il basso nel
mentre che la percorrevo, concentrandomi sui piedi, per vedere dove li mettevo e non
inciampare. Le uniche due direzioni in cui ho sempre puntato gli occhi sono davanti a me e ai piedi. Alla fine di una brutta salita un sussurro è giunto alle mie orecchie: “Fermati trenta
secondi in più, per riprenderti, e prova a dare uno sguardo dietro di te”; mi sono
voltata verso quella che, vista da quella posizione, era una discesa bella ripida e, forse
per la prima volta, ad alta voce mi sono detta: “I miei complimenti” e dopo un pat-pat
sulla spalla mi sono avvicinata a quella successiva con un sorriso, guardando in alto.
Da quel momento mi sono sempre voltata alla fine di una salita per apprezzare anche
solo brevemente la riuscita di quel tipo di strada che non mi piace proprio per niente
(se si è in montagna :D)!

Il cambiamento

384 giorni fa ho cambiato lavoro e adesso è giunto il momento di guardare un po’
indietro. Come altri eventi della mia vita ha avuto inizio in un modo un po’ particolare:
un’occasione, arrivata a mo’ di fulmine, che ho colto senza esitare nonostante sapessi
che le differenze sarebbero state parecchie e anche belle impegnative.
Per menzionare le più ovvie al primo impatto:

  • Avrei iniziato a parlare di software e di scommesse invece che di stoffe e
    macchine da cucire.
  • Sarei entrata in un’azienda composta interamente da uomini, quando per sei
    anni ho lavorato solo con donne.
  • Avrei iniziato un lavoro da scrivania quando per sei anni mi sono mossa come
    una trottola.
  • Avrei preso contatti con molti nuovi colleghi, anche a distanza, quando per sei
    anni ho lavorato con otto anime, al massimo, condividendo tutti i giorni gli
    stessi spazi.
  • Avrei avuto un ruolo definito quando per gli ultimi quattro anni mi sono
    destreggiata nel cercare di trovare il mio posto in un ruolo che mi era stato dato
    perché “è l’ordine naturale delle cose”.

Ho pensato mi ci sarebbe voluto molto tempo, ma davvero tanto, prima di riuscire a
colmarle, e di strada ne ho ancora da fare eh, ma in verità posso affermare di averne
già viste avviarsi, evolversi e alcune anche realizzarsi realizzarsi nel giro di questo
primo anno: ho contribuito e seguito progetti in questo nuovo mondo che era
completamente nuovo, ho seguito l’onboarding dei nuovi assunti, ho visto nascere due
dipartimenti, di cui ne sono stata responsabile pro tempore, sono stata coinvolta in un
viaggio all’estero che mi ha dato l’opportunità di guardare da un’altra prospettiva
questo nuovo mondo, sia lavorativo che personale; e vedere, adesso che mi volto
indietro, che ne ho fatto parte e ne sono stata anche in parte protagonista mi fa
assaporare quella sana fiducia in me stessa senza dovermi per forza sentire una
macchina da guerra che arriva a fine giornata stanca per sentire un po’ di
soddisfazione.

Conclusioni

Questo è quello che ho portato a casa in questo primo anno: poter lavorare in
un’azienda in cui l’ascolto, la fiducia e il rispetto sono impiantati nel DNA, e
soprattutto condivisi tra tutti, per me è stata una ventata di aria fresca perché questi
sono quelli che chiamo ingredienti chiave e base anche nella semplice vita di tutti i
giorni. È stato un anno in salita, qualche sbuffo c’è stato vista la nuova avventura e non nego
che ce ne saranno altri nei prossimi anni, ma quello che posso dire è “Tanto meglio
che sia in salita!” perché so che così avrò ulteriori opportunità di vedere tante altre
facce di un mondo a me ancora misterioso, lavorativo e soprattutto personale, che è lì
solo da scoprire.

Engage Stories – digest 2

Eccoci arrivati alla seconda tranche di #EngageStories, la nostra rubrica di vita vissuta in azienda e sviluppo professionale:

Altri spunti interessanti qui:

Agile@School 2022 – Final Boss!

di Pier-Paolo Mammi.

I ragazzi dell’Agile@School giungono finalmente allo scontro finale con l’ultimo boss del gioco: la temibile presentazione! Avranno acquisito sufficiente esperienza per uscire indenni o quasi dalla sfida? Scopriamolo insieme.

La sfida

L’obiettivo finale del corso si basava su due cose:

  • una presentazione del progetto che ne descrivesse la realizzazione e i punti di forza per un ipotetico investitore
  • il videogioco vero e proprio, eseguibile e testabile da noi

Il tutto seguendo il più possibile la filosofia DevOps illustrata negli incontri fatti a scuola e utilizzando gli strumenti aziendali di uso comune, quali Azure DevOps e Git.

Ready? Fight!

Anche quest’anno, sia per avere un’opinione “esterna” rispetto a noi che abbiamo seguito i ragazzi, sia per portare prova tangibile della bontà del formato, ci ha accompagnato Alex che ha partecipato qualche anno fa all’Agile@School e che da un paio di anni lavora brillantemente in azienda con noi! Riporteremo le sue osservazioni per avere un altro punto di vista più oggettivo.

Tutti Unity – Ein

I ragazzi del team Tutti Unity hanno realizzato un solo livello del gioco, in cui Ein, il protagonista (che, ricordiamo, è l’ultimo dei cloni di Hitler creati a seguito di un esperimento e scampato al loro sterminio) deve fuggire dal laboratorio in cui si risveglia privo della memoria. Plot twist inaspettato, Ein è in realtà una ragazza! 😀

Il gioco è stato sviluppato pregevolmente con grafica in pixel-art e tutti gli aspetti grafici sono stati realizzato da zero. Non c’è stato molto tempo di introdurre interattività con l’ambiente o con altri personaggi, ma nel complesso è risultato molto apprezzabile e interessante.

Anche la presentazione è stata fatta con cura e ha illustrato i possibili sviluppi futuri del gioco, ipotizzando un rilascio a episodi.

Alex: trama veramente interessante e particolare, grafica top (apprezzabile lo stile retrò), meccaniche un po’ trascurate con risultato di un gioco che finisce subito senza fare particolari azioni.

AppeninTech – The IRA Tale

Il gioco segue le vicende di un giornalista ai tempi dell’IRA: l’impostazione è quella più classica di un libro-game, ma arricchita di alcune funzionalità che lo rendono più dinamico, come un “allineamento” fra governo e terroristi che incide sulle probabilità di sopravvivenza del protagonista e un sistema di avvenimenti casuali.

Questo progetto è risultato il più “tecnico” in quanto il codice realizzato si presta particolarmente ad essere convertito in una sorta di framework riutilizzabile.

Da evidenziare la presentazione, in quanto aveva una forte impronta volta al marketing: abbiamo poi scoperto che il ragazzo che ha contribuito alla realizzazione ha aspirazioni di social media marketing!

Alex: presentazione professionale che punta ad eventuali investitori, mostrando una roadmap dettagliata sul progetto. Molto strutturato a livello di storyline, meccaniche semplici, ma efficaci per la storia che seguono. Questo è un classico esempio dove si ha una parte backend molto elaborata a scapito della parte frontend, che risulta quindi un po’ spoglia.

Anonymous – Skyrish Adventure

Il gruppo degli Anonymous, a dispetto di aver meno competenze tecniche rispetto agli altri, è riuscito a realizzare un gioco che forse è il più in linea con la richiesta iniziale di creare un libro-game. Nonostante l’impostazione più “grafica” (invece di pagine testuali, hanno utilizzato pagine web graficamente ricche), il risultato è stato un divertente viaggio fantasy tra omaggi più o meno velati ai vari videogame del genere.

È evidente quanto i ragazzi si siano divertiti nella creazione del gioco, questa è sicuramente una componente importante nella buona riuscita di un progetto!

Alex: trama interessante (cavaliere che deve sconfiggere un boss finale), carente un po’ di animazioni dovuto a qualche intoppo, ma in generale storia corposa e ben strutturata.

What-A-Kingdom

Questo è probabilmente il progetto che ha puntato più in alto di tutti in quanto i ragazzi hanno voluto realizzare il gioco (non più un libro-game, ma un vero e proprio gestionale di un regno) utilizzando il motore Unreal Engine 5, nonostante fossero molto più ferrati con Unity. I WAK sono forse il gruppo che ha maggiormente provato sulla pelle gli effetti di una scelta tecnologica coraggiosa, in quanto non solo hanno dovuto imparare un framework per loro nuovo, ma hanno anche utilizzato una versione cutting-edge, uscita dalla beta proprio mentre creavano il gioco, e quindi più soggetta a instabilità. Come conseguenza, il gioco è sicuramente risaltato fra gli altri dal punto di vista grafico, ma i ragazzi hanno dovuto tagliare gran parte dei personaggi inizialmente pianificati per poter rispettare le scadenze.

Alex: progetto ambizioso dal punto di vista delle tecnologie utilizzate (unreal engine 5). Presentazione efficace e risultato grafico degno di nota.

Conclusioni

La nostra prima considerazione emersa dopo aver visto i progetti presentati dai ragazzi è che ogni anno il livello tecnico si alza un po’ di più. Anche nelle edizioni passate ne abbiamo viste delle belle, ma quest’anno siamo rimasti particolarmente soddisfatti sia delle presentazioni che dei giochi.

Tutti i progetti erano testabili e funzionanti, nonché divertenti da giocare. Chiaramente ci sono degli spigoli da smussare, dovuti a mio avviso più che altro all’entusiasmo e alla troppa voglia di fare dei ragazzi, che in alcuni casi li ha portati a sottostimare l’entità di quello che avrebbero voluto introdurre, ma sono errori (mai come in questo caso) di gioventù!

Penso che l’obiettivo dell’Agile@School sia stato raggiunto pienamente. La realizzazione del progetto è un mezzo per dimostrare ai ragazzi cosa voglia dire lavorare in azienda, e ancora di più farlo utilizzando metodologie agili unite alla filosofia DevOps, ma soprattutto per far sperimentare loro le difficoltà tipiche che ci si trova ad affrontare, spesso in modo inaspettato, sul mondo del lavoro.

In definitiva, complimenti davvero a tutta la classe!

Agile@School 2022 – Episodio 2

Articolo di Pier-Paolo Mammi, il docente che da anni segue le lezioni con i ragazzi.

Finiva due settimane fa il secondo sprint del progetto che coinvolge la classe 4a dell’IISS Gadda. Mi ritrovo a scrivere il post con colpevole ritardo, anche se in realtà un (buon) motivo c’è e ne parlerò in seguito.

I progressi

Vediamo innanzitutto i progressi dei ragazzi. Premettiamo subito che per alcuni team all’inizio dello sprint è ancora risultato difficile entrare nell’ottica di integrare le fasi dello sviluppo con il tracciamento delle proprie attività su Azure DevOps. Insistendo però sui concetti e grazie al supporto del professore siamo riusciti a recuperare la situazione e alla fine tutte le board erano correttamente popolate.

Contemporaneamente, in queste tre settimane abbiamo affrontato svariati argomenti che, pur non influendo direttamente sul mero sviluppo, dovrebbero comunque essere apprese per poter essere efficaci in un contesto aziendale.

Dato che i ragazzi avevano già utilizzato le funzioni basilari di Git, ci siamo quindi concentrati sugli aspetti più avanzati, come il branching e i “flow“, evidenziando in particolar modo come (e perché) noi stessi lo utilizziamo in azienda.

Un altro argomento “scottante” è stato quello dello unit testing, che abbiamo dovuto approfondire in una giornata aggiuntiva, anche qui portando esempi concreti.

Le domande

Al di là di tutto questo, devo ammettere di essere rimasto molto colpito dalla curiosità dei ragazzi nei confronti della “vita da ufficio”. Alcuni di loro hanno infatti posto domande che non mi sarei aspettato, per esempio: “cosa succede se non riesco a rispettare le scadenze del progetto?” oppure: “se sono rimasto indietro con gli sviluppi, è permesso portarsi a casa il lavoro per continuarlo?”, o ancora: “come faccio a capire a chi devo scrivere, se ho bisogno di chiedere qualcosa su quello che sto facendo?”. Le prime domande scaturiscono evidentemente dall’ambiente scolastico, che prevede scadenze ben definite (beh, dovrebbe essere così anche sul lavoro 😅) e che “non ha orari” visto che i ragazzi devono studiare in continuazione! Ma l’ultima di queste domande ha attirato la mia attenzione, perché il problema è reale e si presenta in molti ambienti lavorativi. Questa è stata una buona occasione per parlare nuovamente di come affrontiamo concretamente certe questioni applicando la filosofia DevOps.

Il cerchio che si chiude

Nel terzo e ultimo sprint abbiamo deciso di saltare un paio di lezioni per lasciare un po’ di respiro ai ragazzi: in queste settimane saranno infatti messi a dura prova perché non solo avranno diversi esami e dovranno studiare parecchio, ma soprattutto li aspetta anche il periodo di alternanza scuola-lavoro in cui potranno mettere a frutto quanto imparato finora.

E qui arriva il motivo del ritardo nel post: due dei ragazzi della classe verranno infatti a svolgere l’alternanza proprio nella nostra azienda! Volevo quindi verificare come si sarebbero integrati da noi e devo dire che finora si sono comportati molto bene, anche se per ora ammettono di preferire andare a scuola invece che in ufficio 😄

Chiudiamo con un’altra bella notizia dell’ultimo minuto: la scorsa settimana abbiamo assunto ufficialmente una ragazza della classe che aveva partecipato all’Agile@School 2020, che nel frattempo si è diplomata. Una bella soddisfazione per tutti e un’ulteriore conferma della bontà del format!

Ci risentiamo presto per il post di chiusura del progetto, dopo la giornata finale in cui i ragazzi ci presenteranno i propri risultati.

Agile@School 2022 – Episodio 1

Testo di Pier-Paolo.

Benvenuti al settimo appuntamento col nostro amato progetto Agile@School, questa volta con una grossa “novità”: le lezioni in presenza! 😁 Ebbene sì, nonostante ricadute e limitazioni, quest’anno ci è stata data la facoltà di effettuare le nostre lezioni di persona. Nonostante la precedente esperienza in full remote sia stata positiva e avessimo possibilità di scegliere in che modo condurre l’attuale, abbiamo deciso di essere presenti in aula su consiglio del professor Memoli, che ci seguirà nel progetto. E in retrospettiva devo dire che abbiamo fatto proprio bene, ma di questo parleremo in seguito.

Il progetto

Visto il successo dell’anno scorso, abbiamo voluto riproporre il progetto di un videogioco che riproduca la logica di un libro-game, quindi una storia con un protagonista che, a seconda delle azioni eseguite dal giocatore, “vivrà” diverse esperienze fino ad arrivare (si spera) ad un lieto fine. Di nuovo, abbiamo proposto alcune linee guida, come avere una “barra di salute” del personaggio, per dare un po’ di confini alla fantasia sfrenata dei team. Tuttavia, non è servito a molto, poiché i giochi proposti presentano molte particolarità degne di titoli di grosso calibro!

I ragazzi non dovranno però soltanto creare un videogioco, ma, come fosse un “vero” progetto aziendale, dovranno utilizzare gli stessi strumenti che noi stessi adoperiamo sul lavoro, come Microsoft Azure DevOps e Git. Dovranno creare la documentazione tecnica e funzionale del progetto e anche una presentazione in stile marketing, come se dovessero proporre il progetto ad un vero e proprio cliente. Ah, naturalmente il gioco dovrà essere funzionante!

Ma bando alle ciance e presentiamo i team e i rispettivi progetti.

I team e i loro giochi

Una premessa é d’obbligo: abbiamo chiesto ai team di individuare al loro interno alcune figure ritrovabili anche in un tipico contesto aziendale:

  • un tech lead, che seguirà l’andamento dello sviluppo dal punto di vista tecnico
  • un coordinatore, che gestirà il team e le attività
  • un creativo, che si occuperà della presentazione e della parte artistica
  • ovviamente, gli sviluppatori!

Anonymous: la storia ideata dal team è ambientata in Irlanda, in un’epoca medioevale. Il giocatore dovrà impersonare un cavaliere la cui missione è salvare la principessa: lungo la strada il protagonista incontrerà molti personaggi che gli saranno di aiuto o di ostacolo, e potrà trovare ed equipaggiare una serie di oggetti più o meno magici per facilitare la sua missione. Il gioco verrà creato sotto forma di applicazione web e grafica in pixel art a partire da disegni a mano.

AppenninTech: torniamo in Irlanda, ma stavolta il gioco segue le vicissitudini di un giornalista irlandese ai tempi dell’IRA. Il protagonista dovrà infiltrarsi nel loro gruppo per scrivere l’articolo che gli frutterà il Nobel, ma dovrà stare attento a non farsi scoprire e a gestire le sue risorse per sopravvivere nella vita di tutti i giorni. La trama sarà inoltre costellata di eventi generati casualmente che potranno volgere a favore (oppure no!) del giocatore. Il videogioco utilizzerà Unity per la parte grafica e audio.

Tutti Unity: il gioco presenta un’ambientazione distopica e interessante. La Germania nazista crea dieci cloni di Hitler per vincere la guerra ma, dopo la loro disfatta, decide di eliminarli tutti: ne sopravvivrà uno solo (di nome Ein, “uno” in tedesco) che dovrà cercare di sfuggire ai suoi inseguitori e, contemporaneamente, decidere se seguire l’esempio del dittatore o se dare ascolto al suo lato buono. Interessante la funzionalità dell’allineamento morale vista in giochi tripla-A. Bellissimi anche i personaggi in pixel art!

What-A-Kingdom: l’idea del libro-game qui si è evoluta molto in fretta, diventando nella pratica un vero e proprio gestionale in cui il giocatore, impersonando il re di un regno medioevale, dovrà prendere decisioni in merito ad alleanze, risorse e conflitti, per assicurare ai suoi sudditi sicurezza e prosperità. Da evidenziare la cura nella caratterizzazione e nell’alberatura delle scelte dei molti personaggi che troveremo nel gioco. La grafica sarà realizzata interamente con l’ultima versione di Unreal Engine.

L’organizzazione

Come dicevamo in precedenza, abbiamo voluto dare un’impronta “aziendale” al progetto, il cui delivery plan è stato suddiviso in tre sprint. Abbiamo chiesto ai ragazzi di portare avanti il lavoro proprio come se stessero lavorando in un’azienda in cui si portano avanti i paradigmi di Agile Development e DevOps. Rispetto ad altre volte il nostro compito è stato facilitato, in quanto il professore aveva già improntato le attività dei ragazzi secondo la metodologia Scrum e aveva già insegnato loro l’utilizzo di Git per il versionamento del codice. Nel primo sprint abbiamo quindi potuto soprassedere sulle basi e andare dritto al sodo, mostrando alla classe quali sono le parti più “insidiose” del lavoro (che per noi è pane di tutti i giorni), come la suddivisione delle attività in features, il concetto di deliverable e l’organizzazione del lavoro di gruppo.

Fine dello Sprint 1

Il primo sprint si è concluso in maniera soddisfacente e tutti i gruppi hanno consegnato qualcosa di tangibile. Alcuni hanno lasciato più indietro la parte tecnica favorendo invece la presentazione del gioco e la parte grafica e di contenuti. Altri sono invece riusciti a mostrare parti funzionanti del software, come i menu di gioco e le funzioni di caricamento e salvataggio partita o i controlli del personaggio.

In generale, sono rimasto molto colpito dai team: non mi aspettavo una tale capacità di organizzarsi a livello di squadra e di attività, vista la relativa inesperienza nell’utilizzo degli strumenti aziendali, e una tale intraprendenza (e fantasia) nel presentare e portare avanti i loro progetti. Alla seconda lezione uno dei gruppi ha addirittura realizzato un piccolo slideshow con tanto di infografica in cui si presentava il progetto, le sue particolarità e la composizione del team, davvero di buon livello!

Chiaramente questa potrebbe essere un’arma a doppio taglio, perché ora ci aspettiamo davvero tanto dai ragazzi nei prossimi sprint!

Restate in linea per sapere come proseguirà il progetto.

Passo dopo passo, quanto si impara

Sono passati tre mesi dall’inizio della crescita aziendale “di massa”, se così vogliamo chiamarla. Quante cose sono cambiate, e quante ancora subiranno variazioni. Avevo una paura folle, mentre ora vedo che é sempre più possibile riuscire nell’intento di crescere in maniera sana, controllata e, soprattutto, mantenendo una certa qualità su quanto é fondamentale per noi: le persone, il rapporto vita/lavoro, la qualità del lavoro, il rispetto reciproco, il team.

Definitele una serie di frasi fatte o stereotipi utili a descrivere “quanto siamo bravi”, ma vi assicuro che non é così. E non lo è per vari motivi:
– siamo una grande azienda? No, per niente, ed eravamo piccini come la maggior parte delle aziende italiane
– siamo leader di mercato? Affatto! Anzi, stiamo lottando per cercare di posizionarci
– abbiamo solo i migliori talenti? Suvvia, e cosa vorrebbe dire? No, abbiamo persone proattive, curiose, che hanno continui conflitti per crescere, anche nei miei confronti (per fortuna).

vogliamo che le persone parlino tra loro, che crescano insieme e che coltivino l’interesse per topic anche non necessariamente in uso o orientati al business

Siamo un’azienda come le altre ma, forse, una differenza c’è. L’investimento enorme (e lo sottolineo) nella selezione del personale, nella crescita professionale di ogni persona, nell’ascolto delle proposte e nell’incitamento all’aiuto, se così vogliamo definirlo “bottom-up”. Vi faccio però una serie di esempi pragmatici per dirvi cosa intendo, perché altrimenti sembra tutto “campato in aria”.

Scalabilità

Dopo la crescita cospicua, serve scalare. Avremo a breve team verticali, purtroppo un po’ isolati tra loro. Ebbene, la nostra prima preoccupazione é stata quella di creare incontri trasversali (workshop, sessioni, ecc.) al fine di non far perdere i contatti tra le persone. Ma non solo, i contenuti erogati saranno proposti da chiunque, su qualunque argomento, da “come fare le presentazioni” a “cos’è React”. L’obbiettivo poi sarà quello di incentivare tutti a parlare e, perché no, a premiare le proposte con un programma di premi interni come corsi, libri, ecc.

Credo che il messaggio sia forte: vogliamo che le persone parlino tra loro, che crescano insieme e che coltivino l’interesse per topic anche non necessariamente in uso o orientati al business, purché possano essere di interesse e spunto di chiacchierate comuni. Ore perse? Non direi. Sono di qualità inestimabile.

Escalation engineers

Dal momento in cui ogni problema cliente, via ticket, arrivava fino a poco tempo fa agli sviluppatori, già impegnati in altri progetti, é nato un team dedicato alla risoluzione di tali problematiche. Il team ha la possibilità di fare proposte quando la problematica é ricorrente, sul backlog di progetto, per poter evitare spreco di tempo, andando anche a definire come essa potrebbe apparire, ad esempio, su un client. Per noi gli item di “proposal” stanno diventando sempre più importanti, perché chi é in prima linea sa bene come il cliente usa il prodotto e sa quello che serve. Ma non solo, gli escalation engineers sono la rampa di lancio per i nuovi arrivi, che grazie a ruoli di triage, primo intervento e testing (sì, fanno anche QA, la parte manuale) conoscono sempre di più quanto facciamo in azienda. E l’onboarding diventa sempre più completo. Anche questo dimostra quanto la persona sia centrale, perché non é semplicemente buttato nella mischia, ma é accompagnato in un processo di crescita, tra l’altro seguito da senior, con l’obbiettivo di capire come proseguire il suo cammino professionale in azienda.

A ognuno ciò che più piace

Di recente abbiamo assunto un ragazzo come backend developer. É alle prime armi tutt’ora, ma, chiacchierando in uno dei miei ricorrenti 1 to 1, é emersa la sua voglia di guardare il frontend. Inutile dire che a breve intraprenderà la strada della formazione e onboarding per la parte client web. Certo, lo possiamo fare perché abbiamo le persone, non posso nascondere questo grande vantaggio, però anche chi è appena arrivato è stato ascoltato. L’azienda aveva le possibilità di ragionarci, ed eccoci qui, a far fare ad una persona quello che davvero, sotto sotto, preferisce. É un win-win, non c’è dubbio.

Annosi problemi ed esercitazioni

Proprio qualche giorno fa abbiamo avuto un serio problema: un nostro collega, al primo turno di reperibilità nel fine settimana, si è trovato malissimo con strumenti e documentazione. Inoltre, durante la gestione dell’urgenza, non è stato allineato a dovere, il che lo ha fatto sentire impotente e completamente a bocca asciutta per il futuro. Questo, per noi, è un enorme ostacolo. Il lunedì successivo si è parlato immediatamente di come mitigare e poi risolvere questo tipo di problemi, grazie soprattutto alla proattività di Roberto che, dall’alto della sua esperienza e umiltà, ha dato una serie di feedback tra i più importanti degli ultimi anni. La nostra reazione è stata quella di creare una card ad alta priorità (massima, per la verità) sulla quale abbiamo già descritto le possibili soluzioni, una delle quali è quella di effettuare ripetute esercitazioni per ridurre la frizione che le problematiche potrebbero dare a chi dovrà affrontare il supporto tecnico nel weekend. Ancora una volta, orientati a migliorare il futuro di tutti, non solo in ottica di qualità e di risposta pronta al cliente.

Conclusioni

Ripeto, siamo grandi? Siamo i migliori? Siamo alla ricerca solo di talenti? Siamo speciali? No. Siamo però persone che si impegnano a migliorare il lavoro di tutti i giorni e le condizioni di ognuno di noi. Da lì poi, tutto é in discesa.

Abbiamo problemi? Eccome! E ancora sono enormi, non vi faccio gli esempi o “facciamo notte”,  ma se l’atteggiamento é quello descritto sopra, credo che la maggior parte possano essere risolti con buona probabilità. Vedremo cosa ci riserverà il futuro, per ora proseguiamo così.

Questi ultimi tre mesi sono stati molto costruttivi per l’azienda, per noi tutti e per me, grazie anche al lavoro sinergico che sto seguendo con Michele. Stiamo raddrizzando molte cose e il suo lavoro è preziosissimo.

La nostra battaglia più dura

Sono passati mesi dall’inizio della missione ristrutturazione aziendale e ormai si vede bene la fine dell’anno. Negli ultimi tempi abbiamo affrontato una crescita aziendale non indifferente, non solo dal punto di vista delle persone, ma anche dei ruoli, dei dipartimenti e della cultura necessaria alla crescita stessa.

Nonostante la considerazione non possa essere definitiva, visto che continueremo a crescere ancora anche per tutto il 2022, posso già affermare che questa quest (glossario da gamer) è stata, e probabilmente sarà, una delle più complesse affrontate nella mia vita professionale. C’è tutto dentro: organizzazione, approccio filosofico/culturale/etico/economico, analisi dei dati, misurazione delle metriche di team, tecnologia, e via discorrendo. Ma alla base, sempre e solo una cosa, le persone.

Mi ricordo con nostalgia quando il mio lavoro era pensare “chissà se i miei test sulle performance rispetteranno i risultati che mi aspetto in produzione” o “come posso scalare con il tal SQL server” o ancora “voglio sistemare quella stored procedure per ridurre il tempo di risposta”. Era comunque molto impegnativo, vero, e senza studio e ricerca costante gli obbiettivi non si raggiungevano. Però era piuttosto deterministico. Diciamo che con un relazionale in certi casi hai quel dipende che i fan delle regole scolpite non digeriscono, ma era ancora macchina, software e tecnologia in generale. Oggi il mio lavoro è cambiato, un po’ per necessità, ma anche, in parte, per piacere e per sfruttare meglio la mia forma mentis, tutto sommato orientata all’organizzazione e all’ottimizzazione.

Scrivo questo post per condividere alcune riflessioni su quanto sia importante muoversi bene in contesti di migrazione come quello che stiamo vivendo, contesti in cui anche l’influsso di cambiamenti radicali a livello sociale (vedi pandemia) ci pone di fronte a scenari del tutto nuovi, con sfide non previste e difficoltà mai avute.

In passato molti di noi bramavano la possibilità di lavorare in remoto, di avere trattamento e approccio smart, di essere più indipendenti da tempo per ragionare ad obbiettivi. Oggi, alcune di queste condizioni sono fisiologicamente diventate uno standard, per la maggior parte accettate come nuovo modello. Altre hanno toccato l’esagerazione, come il non vedersi più di persona nemmeno quando possibile/importante, il numero delle call conference, il fatto di avere tutto e subito, sempre online. E ora, il metaverso (concetto che io ricordo dagli anni 90 da un romanzo intitolato Snow Crash) e tutte le innovazioni che, come la storia ci insegna, vengono idolatrate e demonizzate da chi, rispettivamente, vede solo vantaggi o tragedie apocalittiche. Oggi, comunque, abbiamo la gara a quello che va di moda e i social sono la monoposto con cui parteciparvi.

Ma crescere e cambiare vanno ben oltre questo. Quando abbiamo dovuto agire per predisporre un nostro percorso, non dormivo la notte, per paura (che ho tutt’ora) di una implosione aziendale e/o di non essere all’altezza. Il primo problema è stato avere una deadline stretta, che ci ha dato un ritmo atipico per fare selezione del personale. Per fortuna, la possibilità di lavorare da remoto con pochi requisiti di presenza ci ha dato il quid per venirne fuori egregiamente, visto che il resto è già people-first fin da quando abbiamo avviato l’attività. Le persone aggiunte seguono tutte i nostri principi, e non potremmo scegliere diversamente, pena “non remare tutti nella stessa direzione”.

Ma il vero problema, che é quello per cui ho fatto più fatica e che tuttora mi tiene sotto battuta, è stata la scalabilità dei nostri processi in essere. Ah, come funzionavano bene quindici persone fa! Da qualche tempo, invece, ogni cosa aveva iniziato a rallentare, si avevano stalli continui, la consapevolezza trasversale calava sempre di più e le prime reazioni precipitose rischiavano di portare a figure gatekeeper. Forse è naturale arrivare a ciò nella mente di tutti noi, a prima vista. Ma per chi crede nei principi della cultura DevOps e osserva più a lungo la situazione, questa non può essere la soluzione.

Ed è qui che abbiamo deciso di cambiare seriamente. Nessuna reorg, nessuna variazione all’organigramma. La gerarchia è rimasta piuttosto piatta, e non ci siamo fatti sopraffare dalla voglia di adattare il software sulla base della struttura aziendale (Team Topologies e la legge di Conway). Al contrario, abbiamo aggredito i problemi uno ad uno, cambiando a volte il processo, altre volte le abitudini. Abbiamo incluso persone nuove, con tanta esperienza sia con lo strumento (Azure DevOps) sia con le migrazioni culturali in realtà ben più grandi della nostra, abbiamo destabilizzato, di certo, ma stiamo già percependo i risultati. Per non dimenticare che l’appoggio del mio socio Michael Denny è stato indispensabile. I principi condivisi dall’azienda partono, in fondo, da noi due.

È importante avere una cultura aziendale condivisa in termini DevOps, ancor prima di pensare a qualunque strumento o prodotto. E non basta il coraggio, non serve il controllo gerarchico, ma un vero team di persone affiatate e pronte all’adattamento

La prossima retrospettiva verrò certamente rimproverato per l’impeto e la spinta rivoluzionaria, insieme a chi ha fatto sì che questo accadesse (il collega e amico Michele Ferracin, che mi ha consigliato anche il libro di cui sopra). Non potrò dare torto a chi lo farà; i cambiamenti fatti, forse, potevano essere affrontati con meno foga. Il fatto è che il processo antecedente alle modifiche non sarebbe più stato sostenibile e il rischio sarebbe stato quello di incappare in scelte da punto di non ritorno. Ho trattenuto il fiato e, credetemi, rispetto al quantitativo di variazioni, sono stato praticamente trasparente.

E ora? Beh, abbiamo una kanban board ben fatta, che rispecchia perfettamente un processo semplice, meno stati, meno informazioni inutili, meno dispersione e più consapevolezza trasversale. Certo, dobbiamo pulire gli arretrati, ma il peggio é passato. Siamo anche pronti a ridurre il numero di strumenti, perché essi sono stati semplicemente un supporto per la nostra cultura, sempre molto forte.

Con questo post, in conclusione, volevo sottolineare quanto sia importante avere una cultura aziendale condivisa in termini DevOps, ancor prima di pensare a qualunque strumento o prodotto. Senza questa radicata visione, la nostra azienda non sarebbe mai riuscita a reggere la crescita fino ad ora, né tantomeno a cambiare radicalmente pur mantenendo senza implodere. E non si tratta di hard skill, ma di un duro e prolungato lavoro di persone che remano dalla stessa parte, da oggi ancora più in maniera coerente e sincronizzata. Non basta il coraggio, non serve il controllo gerarchico, ma un vero team di persone affiatate e pronte all’adattamento.

Il piacere dell’attesa (degli eventi)

Sono già passati due anni dall’ultima edizione di DevOpsHeroes e fra poco più di un mese questo sarà vero anche per SQL Saturday. Entrambi gli eventi, così tanto seguiti da tutti voi, da tutti quanti siano affamati di conoscenza e condivisione. Entrambi a Parma, in un periodo in cui la nebbia è un valore aggiunto per il nostro territorio (ogni riferimento alla Food Valley è puramente casuale). Entrambi in presenza, seppure io sia un sostenitore della digitalizzazione e dell’approccio in remoto. Entrambi da record di presenze, ma uno solo nato totalmente da noi di Engage

Edizione del 2016 di entrambi gli eventi

Ci sono tanti fattori per cui questi due appuntamenti sono mancati a molti di noi, autori compresi, ma ci sono pochi motivi per cui abbiamo deciso di saltare le ultime due edizioni. Primo su tutti la necessità, secondo la nostra visione, di parlarsi faccia a faccia e di vivere le emozioni direttamente sul campo, sia lato speaker sia lato pubblico. Nelle sei edizioni di sqlsat e nelle cinque di DOH abbiamo visto prime esperienze da palco, persone venute fino a qui da molto lontano, speaker internazionali e audience insolitamente mista per un evento “offline”. Questo è qualcosa di insostituibile, a fronte di un piccolo sforzo in termini di viaggio al sabato. Il networking che si fa in eventi come questo assume caratteri unici in ogni sua versione in presenza, cosa che, almeno personalmente, non crediamo semplice in una erogazione solo digitale. Calore mancante, insomma.

Gianluca durante la sua sessione con il pienone

In secondo luogo, visto il numero minore di eventi a cui partecipare a causa di una logistica più impegnativa, il peso che assume il momento e la preparazione della sessione. Credo che più la frequenza di un evento è minore, più la qualità dei contenuti è alta. Ma è una nostra opinione.

Infine, ma non per importanza, il premio per il duro lavoro di mesi alla fine dell’evento, cena speaker (fortunelli!) annessa. Mi ricordo la stanchezza della sera e la tensione della mattina prima di entrare al Campus. Momenti stressanti, ma che bello vedere persone trovarsi lì, per qualcosa di organizzato “in casa”.

Speaker a cena

Non é mia intenzione sminuire tutti gli ottimi lavori fatti dalla community per erogare ininterrottamente giornate facilmente raggiungibili da tutti, di qualità e quantità, sia chiaro. Anzi, credo che siano stati più coraggiosi del sottoscritto. Però ho scelto una strada, coerente con ciò che pensiamo qui in azienda, che é quella dell’attesa con ansia di un grande ritorno. E se ancora avremo i risultati di un tempo, vorrà dire che siamo stati bravi. In caso contrario, ci avremo comunque provato.

Fra un anno avremo due nuovi eventi, Data Saturday Parma 22 e DevOpsHeroes 22, speriamo di trovarvi pronti per una grande accoglienza come solo voi sapete dare.

Del resto, il piacere dell’attesa non é l’attesa stessa?
Stay tuned!